...Bella,
d'una sua bellezza acerba, bionda senza averne l'aria,quasi triste, come i fiori
e l'erba di scarpata ferroviaria;il silenzio era scalfito solo dalle mie
chimere,che tracciavo con un dito dentro ai cerchi del bicchiere... ...Ma
nel gioco avrei dovuto dirle: "Senti, senti io ti vorrei parlare...",poi
prendendo la sua mano sopra al banco: "Non so come cominciare, non la vedi, non
la tocchi oggi la malinconia,
non lascianmo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via."...
...Giorni
lunghi tra ieri e domani, giorni strani, giorni a chiedersi tutto cos'era,
vedersi ogni sera; ogni sera passare su a prenderti con quel mio buffo montone
orientale, ogni sera là, a passo di danza, salire le scale e sentire i tuoi
passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore, quando aprivi la porta il
sorriso ogni volta mi entrava nel cuore... ...E
davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme ad affrontare ogni impresa;
siamo come due foglie aggrappate ad un ramo in attesa. Farewell, non
pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d'estate con qualcosa di
fragile come le storie passate. Forse un tempo poteva commuoverti ma ora è
inutile, credo, perché
ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me.
Non
so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l'immagine sua: gli eroi sono tutti giovani e belli.
Conosco invece l'epoca dei fatti, qual era il suo mestiere:
i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere.
I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti:
sembrava il treno anch'esso un mito di progresso, lanciato sopra i continenti.
E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano,
che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano:
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
sembrava avesse dentro un potere tremendo, la stessa forza della dinamite.
Ma un'altra grande forza spiegava allora le sue ali:
parole che dicevano "gli uomini sono tutti uguali",
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
la bomba proletaria, e illuminava l'aria la fiaccola dell'anarchia.
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione:
un treno di lusso, lontana destinazione.
Vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori,
pensava al magro giorno della sua gente attorno, pensava un treno pieno di
signori.
Non so che cosa accadde, perché prese la decisione.
Forse una rabbia antica, generazioni senza nome
che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore,
dimenticò pietà, scordò la sua bontà, la bomba sua la macchina a vapore.
E sul binario stava la locomotiva:
la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,
sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
mordesse la rotaia con muscoli d'acciaio, con forza cieca di baleno.
E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo,
pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto:
salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura,
e prima di pensare a quel che stava a fare, il mostro divorava la pianura.
Correva l'altro treno ignaro, quasi senza fretta:
nessuno immaginava di andare verso la vendetta.
Ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
"Notizia di emergenza, agite con urgenza, un pazzo si è lanciato contro il
treno!"
Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva,
e sibila il vapore, sembra quasi cosa viva,
e sembra dire ai contadini curvi, il fischio che si spande in aria:
"Fratello non temere, ché corro al mio dovere! Trionfi la giustizia proletaria!"
E intanto corre corre corre sempre più forte,
e corre, corre, corre, corre verso la morte,
e niente ormai può trattenere l'immensa forza distruttrice,
aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto della grande consolatrice.
La storia ci racconta come finì la corsa:
la macchina deviata lungo una linea morta.
Con l'ultimo suo grido d'animale la macchina eruttò lapilli e lava,
esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo, lo raccolsero che ancora
respirava.
Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore,
mentre fa correr via la macchina a vapore,
e che ci giunga un giorno ancora la notizia
di una locomotiva come una cosa viva, lanciata a bomba contro l'ingiustizia!
[ Don
Chisciotte ]
Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.
Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,
e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,
ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo!
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,
colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte,
com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...
[ Sancho Panza ]
Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore...
E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
ma credendo di aver visto una vera principessa,
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini...
E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
io che sono più realista mi accontento di un castello.
Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza...
[ Don Chisciotte ]
Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri!
L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo,
ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fà d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...
[ Sancho Panza ]
A proposito di questo farsi d'ombra delle cose,
l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori
era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore?
Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
il solo metro che possiedo, com'è vero... che ora ho fame!
[ Don Chisciotte ]
Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,
preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire...
[ Sancho Panza ]
Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante
e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
riusciremo noi da soli a riportare la giustizia?
In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
dove regna il "capitale", oggi più spietatamente,
riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero?
[ Don Chisciotte ]
Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà?
[ Insieme ]
Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:
siamo i "Grandi della Mancha",
Sancho Panza... e Don Chisciotte!
Nell’anno 40 di nostra vita, Francesco Guccini nasce a Modena, piccola città
bastardo posto, luogo mai amato fino in fondo. Meglio Pàvana, dove cresce “fra i
saggi ignoranti di montagna, tirato su a castagne ed erba spagna” (Addio).
Meglio Bologna, che avrebbe poi eletto a sua dimora, in quella via Paolo Fabbri
43, dove ancora risiede (“abito sempre qui, in questa stessa strada”, come canta
in Ho ancora la forza).
Lungo le pieghe della via Emilia, Guccini affina i tratti del cantastorie, prima
in un anonimo complesso (nessuno, allora, li chiamava gruppi) con Pier Farri e
Victor Sogliani, poi (dopo una breve esperienza come giornalista alla Gazzetta
dell’Emilia dove impara a maneggiare le parole) con i Gatti, insieme ad Alfio
Cantarella.
Folgorato da Freewheelin’ di Bob Dylan, nel novembre 1964 scrive due canzoni
figlie di quel verbo: Noi non ci saremo e Auschwitz, con le quali entra nella
storia dalla porta principale.
Poco dopo, arriva Dio è morto, qualcosa di più di un inno generazionale, brano
cantato in coro dalla gente tanto ai festival dell’Unità che in chiesa, primo
esempio cantautorale di compromesso storico.
Il debutto in proprio, Folk Beat n.1, esce nel 1967 a nome Francesco, senza il
cognome Guccini, ma con canzoni che si presentano da sole, a partire da quella
In morte di S.F. che ancora oggi battezza ogni concerto del Maestrone.
L’isola non trovata (1971), terzo disco (nel mezzo, Due anni dopo) è anche il
primo album di Guccini legato da piccoli fili rossi (almeno due: l’irrazionalità
e l’esotismo), un bel tentativo di costruire qualcosa di unitario il cui
risultato sia superiore alla somma delle canzoni.
Il fine è raggiunto con Radici (1972), dove ogni brano è una piccola perla di
una collana che il Maestrone indossa ancora dal vivo: Radici, Piccola città,
Incontro, Canzone dei dodici mesi, Canzone della bambina portoghese, Il vecchio
e il bambino e la mitica Locomotiva.
Opera buffa (1974), registrato all’Osteria delle Dame e denso di scherzi
musicali, mostra l’aspetto più giocoso del Guccini; Stanze di vita quotidiana
(1974) torna a puntare tutto sulla riflessione e sull’intimismo.
Via Paolo Fabbri (1976) e Amerigo (1978) entusiasmano e commuovono: L’avvelenata
sputa rabbia e orgoglio, Piccola storia ignobile racconta il dramma dell’aborto,
Eskimo mette in fila i sogni di una generazione, Amerigo confronta l’America
sognata e quella vissuta con gli occhi dello zio emigrante.
Il cammino verso Metropolis (1981), album dedicato a città con una storia e una
forte valenza simbolica (Bisanzio, Venezia, Bologna, Milano), passa attraverso
Album Concerto (1979), il live realizzato con i Nomadi, primo disco in cui
compare, nelle vesti di coordinatore artistico, Renzo Fantini. Guccini (1983),
che ha per tema i falsi movimenti del viaggiare, splende di luce vivissima in
Autogrill, canzone sospesa tra mistero e irrealtà che vive un doppio registro
temporale, come in certi racconti di Borges.
Il 1984 è l’anno di Fra la via Emilia e il West, espressione entrata
nell’immaginario collettivo e nel lessico quotidiano, fedele registrazione del
trionfale concerto a Bologna, in piazza Maggiore, vent’anni dopo Auschwitz. Dopo
tre anni di silenzio occupati a vivere e riordinare le idee, Signora Bovary
(1987) accende nuovamente i riflettori sul cantautore montanaro: Scirocco manda
aria calda e rassicurante, mentre Culodritto (dedicata alla figlia Teresa) e Van
Loon (un ricordo del padre Ferruccio) riportano il discorso alle radici.
Gli anni Ottanta terminano con un altro disco dal vivo, Quasi come Dumas (1988)
e con il primo esperimento letterario, Cròniche epafániche, cui seguiranno un
altro romanzo (Vacca d’un cane), due gialli (Macaronì e Un disco dei Platters) e
l’autobiografia scritta con Massimo Cotto (Un altro giorno è andato).
Quello che non… (1990) battezza il nuovo decennio. La negazione fotografa
l’andamento di una questione sentimentale ma anche la dissoluzione di certi
ideali sociali e politici. Come sempre, privato e pubblico s’intersecano e
influenzano a vicenda. Canzone delle domande consuete è targa Tenco come canzone
dell’anno, Cencio rimette magistralmente in moto la giostra della memoria.
Nel 1993 si torna a volare. Parnassius Guccinii, ennesimo grande album, deve il
titolo a una farfalla scoperta nell’appennino toscoemiliano da un entomologo
appassionato del Maestrone. Canzone per Silvia, dedicata alla Baraldini, e
Nostra Signora dell’Ipocrisia, atto d’accusa contro la televisione, smuovono gli
animi; Farewell, bellissima canzone dell’amore perduto, e Samantha, storia di
due ragazzi che si sfiorano e subito si perdono, fermano il cuore.
D’amore di morte e di altre sciocchezze esce nel 1996. La morte è in Lettera,
struggente dedica a Bonvi, Victor e a chi se n’è andato; ne Il matto, che muore
ridendo, in battaglia, anche quando si accorge che qualcuno, per scherzo, gli ha
tolto il caricatore dal fucile; e ne Il caduto, storia di un montanaro
seppellito in pianura che vorrebbe rivivere solo per rivedere i suoi posti. Le
sciocchezze vivono ne I fichi. L’amore inonda il resto e trova il suo apogeo in
Vorrei e in Cyrano, su cui soffia il vento forte dell’epica. Poi, il vecchio
sbevazzatore d’osteria si traveste da oste nel bar di Radiofreccia,
pluridecorato film di Luciano Ligabue.
All’alba del Duemila, sorge Stagioni album carico di maturità musicale e grande
sicurezza letteraria; rimane saldamente primo in classifica a dimostrare il
fatto che anche nel nuovo millennio non svanirà la vicinanza del pubblico al
cantautore Bolognese.
Il suo ultimo grande lavoro ha per titolo Ritratti
UNA CURIOSITA' DA NON PERDERE
La vera storia del macchinista ferroviere de "La Locomotiva"
Tratto da "L'amico treno" dell'aprile 1993
Quando i concerti si avviano alla fine, e le
richieste si fanno più insistenti, dopo i successi di tante stagioni, è ormai
rituale per Francesco Guccini chiudere con la sua ballata più popolare:
la locomotiva. Dopo oltre vent'anni, con
tutto quello che è avvenuto nel frattempo, questa canzone dal sapore libertario,
continua a smuovere qualcosa negli animi di giovani e meno giovani, in quella
parte che vuole, malgrado tutto, continuare a credere. E quell'immagine, sia
pure un po' sinistra, della locomotiva "come una cosa viva lanciata a bomba
contro l'ingiustizia" mantiene il suo fascino col passare delle generazioni. E
questa una ballata che si richiama a un fatto realmente accaduto il secolo
scorso (anzi esattamente 100 anni fa) e, per quanto riguarda i fatti, vi si
attiene fedelmente. Si tratta di un episodio singolare, fortunatamente rimasto,
se non unico, abbastanza raro negli annali ferroviari. La curiosità di saperne
di più ci ha spinto a qualche ricerca, sulla stampa dell'epoca e negli archivi
delle Ferrovie.
"Il disastro di ieri alla ferrovia" - l'aberrazione di un
macchinista", titola il bolognese Resto del Carlino del 21luglio 1893.
Poco prima delle 5 pomeridiane di ieri, l'Ufficio
Telegrafico della stazione (di Bologna, ndr) riceveva dalla stazione di Poggio
Renatico un dispaccio urgentissimo (ore 4,45) annunziante che la locomotiva del
treno merci 1343 era in fuga da Poggio verso Bologna. Lo stesso dispaccio era
stato comunicato a tutte le stazioni della linea, perché venissero prese le
disposizioni opportune per mettere la locomotiva fuggente in binari sgombri
dandole libero il passo in modo da evitare urti, scontri o disgrazie. [...] Capo
stazione, ingegneri e personale del movimento furono sossopra e chi diede
ordini, chi si lanciò lungo la linea verso il bivio incontro alla locomotiva che
stava per giungere. Non si sapeva ancora se la macchina in fuga era scortata da
qualcuno del personale; e solo i telegrammi successivi delle stazioni di San
Pietro in Casale e Castelmaggiore, che annunziavano il fulmineo passaggio della
locomotiva, potevano constatare che su di essi stava un macchinista e un
fuochista. Ma la corsa continuava e la preoccupazione alla ferrovia cresceva...
[...]
All'epoca già confluivano alla stazione di Bologna quattro
importanti linee ferroviarie e i binari di stazione erano soltanto cinque. In
quell'ora i binari erano ingombri per treni in arrivo e in partenza Non c'erano
sottopassaggi. La inevitabile concisione dei dispacci telegrafici impedì di
comprendere chiaramente la situazione. Per evitare guai maggiori la locomotiva
venne instradata sul binario cosiddetto "2 numeri", un binario tronco sulla
destra, più o meno dove oggi c'è il fabbricato delle Poste. Allora c'erano le
tettoie della gestione merci.
Alle 5,10 [la locomotiva] entrava dal bivio e passava
davanti allo scalo, fischiando disperatamente, con una velocità superiore ai 50
km/h. Sulla macchina c'era un uomo che, invece di dare il freno, cercare di
fermare, metteva carbone.... Era un uomo che correva, che voleva correre alla
morte! Il personale lungo la linea agitando le braccia, gridando, gli faceva
cenno di fermare, di dare il freno; taluno gli urlò di gettarsi a terra, ma egli
rimaneva imperterrito nella locomotiva. Un esperto macchinista, il Mazzoni, che
era lungo la linea e lo vedeva correre incontro a morte sicura, gli gridò:
"buttati a terra!"; ma il giovanotto - che giovane era lo sciagurato - dalla
banchina a lato della piazza tubolare della caldaia tenendosi alla maniglia di
ottone, si portò sul davanti della locomotiva sotto il fanale di fronte,
attaccato sempre alla maniglia e colla schiena verso la stazione dov'era il
pericolo.
La locomotiva (della quale il giornale ci dà anche il numero
di matricola: era la 3541) andò quindi a sbattere contro la vettura di prima
classe ed i sei carri merci che si trovavano in sosta sul binario tronco alla
velocità di 50 chilometri orari.
Al momento dell'urto egli era sulla fronte della macchina
e i presenti che lo videro esterrefatti passare dinanzi a loro affermano che
proprio al momento dell'urto egli si sporse in fuori, volgendo la testa verso la
vettura, contro alla quale andava a dar di cozzo. L'urto, disastroso per la
macchina e i carri, fu tremendo per l'uomo. Egli rimase preso fra la macchina e
il vagone di 1a classe schiacciato orribilmente. Accorsero funzionari delle
ferrovie, di P.S., guardie, personale viaggiante e manovali e il disgraziato fu
tosto riconosciuto. È certo Pietro Rigosi di Bologna, di anni 28, fuochista da
parecchi anni e buon impiegato... a Poggio Renatico, mentre il macchinista
Rimondini Carlo era sceso un momento, il Rigosi aveva sganciato la locomotiva
del treno merci e poi l'aveva lanciata a tutta velocità legando la valvola del
fischio, per modo che destò l'allarme per tutta la corsa. Avrebbe potuto
pentirsi durante il tragitto e dare il freno (che funzionava bene anche dopo la
catastrofe) ma egli non volle. Probabilmente un'improvvisa alterazione di
cervello che lo rese crudele contro se stesso, perché, per quanti pensieri di
famiglia egli avesse, non giustificavano certo un tentativo di suicidio che
poteva costare la vita a molte altre persone.
Il fatto ebbe una grande risonanza su tutta la stampa
nazionale. Vi fu chi immaginò che il macchinista avesse letto La bête humaine di
Emile Zola, restandone suggestionato al punto da imitarne le vicende. Altri
mossero critiche alle ferrovie per non aver provveduto ad insabbiare un binario
allo scopo di far fermare la locomotiva senza danni. Un lettore del Resto del
Carlino mandò un telegramma al giornale sostenendo che, inviando incontro alla
locomotiva in fuga, una macchina di maggiore potenza, questa avrebbe potuto, una
volta avvistatala, invertire la marcia e frenarne la corsa gradualmente. Tutti i
commenti concordavano sulla imprevedibilità del gesto. Pietro Rigosi veniva
indicato dal giornale come "fuochista da parecchi anni e buon impiegato".
Sposato, padre di due bambine, di tre anni e di dieci mesi. Nessuna indagine
sulle sue condizioni economiche e familiari consentì di capire quali motivi lo
avessero spinto. Qualche debito di importo non rilevante, ma al tempo era
abbastanza frequente, nessuna oscura vicenda personale, nessun dissapore
familiare. Sorprendentemente il nostro uomo non rimase ucciso in quello scontro
terribile nel quale aveva cercato deliberatamente la morte mettendosi fra la
locomotiva e la vettura ferma. Evidentemente l'urto fortissimo lo fece schizzare
via prima che i due veicoli si incastrassero l'uno nell'altro. Gli venne
amputata una gamba, il viso rimase deformato dalle cicatrici, dovette sopportare
una lunga degenza all'ospedale, ma dopo circa due mesi fece ritorno a casa.
Inutilmente i giornalisti e i curiosi che gli facevano visita tentarono di
chiedergli i motivi che lo avevano spinto ad un gesto tanto clamoroso. A nessuno
venne risposto. Il Rigosi si mantiene abbastanza tranquillo, parla con chi va a
fargli visita, ma si astiene sempre ad accennare alle cause e al movente del suo
atto, cambiando discorso o non rispondendo ogni volta che gli si richiede per
quale ragione lanciò la sua macchina a tutto vapore da Poggio a Bologna e perché
cercasse di morire. Un'unica frase, che il cronista del Carlino riprende da un
articolo della Gazzetta Piemontese, sembra gli sia sfuggita subito dopo il
ricovero: "Che importa morire? Meglio morire che essere legato!" Un vero
personaggio, Pietro Rigosi, fuochista delle Strade Ferrate Meridionali - Rete
Adriatica, matricola 42918. E comprensibile che questo suo atteggiamento,
dignitoso e ribelle insieme, abbia ispirato Francesco Guccini. Abbiamo perciò
fatto qualche ricerca d'archivio per saperne di più. Non era un ferroviere
modello. Non tanto perché veniva spesso punito. Per i ferrovieri dell'esercizio
allora ad ogni minimo errore corrispondeva una sanzione economica. Nel caso di
Rigosi Pietro si tratta però di mancanze di omissione, negligenza, o diverbi con
colleghi e superiori. Tutti chiari segni di affaticamento e insofferenza
all'ambiente. Multa di £ 5 per aver risposto "con modo sconveniente al Capo
Deposito di Piacenza mentre questi taceva delle giuste osservazioni al suo
Macchinista". Sospensione per tre giorni dal soldo e dal servizio per essere
"venuto a diverbio col Macch. Baroncini Federico per futili motivi tra Mestre e
Marano. Diede poi luogo ad un deplorevole alterco sotto la tettoia della
stazione di Padova". Tre mesi prima del fatto era stato punito con "sospensione
dal soldo e dal servizio per giorni tre per aver preso in mala parte una frase
detta per ischerzo da un macchinista del Deposito di Milano e non a lui rivolta,
provocando così un diverbio, seguito da vie di fatto in stazione di Piacenza".
Ma numerose sono le multe per mancata presentazione al treno. "Mancò alla
partenza dal treno 1008 del 7 agosto sebbene avvisato il giorno prima e avanti
alla partenza dallo svegliatore". Erano mancanze che costavano care: dalle 3
alle 5 lire quando la paga giornaliera era di 2 lire e 50. Alcune multe
riguardavano mancanze oggi incomprensibili: venne trovato coricato nelle brande
del dormitorio senza le prescritte lenzuola. I dormitori dotati di docce erano
rarissimi e i macchinisti erano costretti a ripulirsi molto sommariamente prima
di coricarsi. L'uso delle lenzuola da parte dei ferrovieri si rendeva quindi
obbligatorio per evitare che venissero insudiciate le brande. C'è una vasta
letteratura sulle pesanti condizioni di lavoro dei ferrovieri, in particolare
dei macchinisti, alla fine del secolo scorso. Turni ininterrotti fino a trenta e
anche quaranta ore consecutive, esposizione alle intemperie su macchine non di
rado senza alcun riparo o con ripari che risultavano del tutto insufficienti,
disciplina di tipo prussiano, tutto questo aggiunto ad un mestiere già duro:
ricordiamo che una corsa da Venezia a Bologna significava per il fuochista
spalare quaranta quintali di carbone. Non stupisce quindi che la mortalità nella
categoria fosse tanto alta che non più del 10% dei macchinisti arrivava alla
pensione. Forse fu tutto questo a spingere il nostro alla corsa forsennata verso
Bologna. Anche se non volle mai dirlo pubblicamente ci doveva essere un rancore
profondo in Pietro Rigosi verso la Società delle Strade Ferrate. Qualche tempo
dopo essere stato dimesso dall'ospedale, venne "esonerato dal servizio per
motivi di salute". Il Consorzio di Mutuo Soccorso gli liquidò un sussidio di
lire 308,13 e la Direzione delle Ferrovie ne dispose un secondo "a solo titolo
di commiserazione, di £ 150, pari a due mesi della paga che percepiva". Al
momento di ritirare il sussidio Pietro Rigosi si avvide che sul ruolo di
pagamento, che avrebbe dovuto firmare per ricevuta, stava la scritta come
motivazione "buona uscita". Tanto bastò per fargli rifiutare quella cifra di cui
doveva avere certamente un gran bisogno. Evidentemente nessuno doveva pensare
che la sua uscita dalle ferrovie fosse avvenuta in bontà di rapporti. Accettò la
somma solamente dopo che la motivazione di buona uscita venne sostituita con
'per elargizione'. Anche l'atteggiamento della severissima Società delle Strade
Ferrate Meridionali fu, nell'occasione, stranamente indulgente. Il fatto aveva
provocato danni notevoli, tanto da venire citato nella relazione annuale agli
azionisti fra le cause che avevano limitato l'ammontare degli utili corrisposti.
Nessuna punizione per il ferroviere responsabile. Esonero per motivi di salute,
invece del licenziamento, e corresponsione di un sussidio non certo elevato, ma
certamente non dovuto. L'ipotesi della follia esonerava dalla necessità di
approfondire le cause e, con i pazzi e i fanciulli, è sempre opportuna la
clemenza. Per gli appassionati di cose ferroviarie, due parole sulla locomotiva
protagonista della vicenda. La 3541 faceva parte di una serie di 130 unità
comprese nel gruppo 350 RA, che dal 1905 divenne Gr 270 PS. Poiché tutte le
macchine, dapprima numerate 3501-3630 RA, divennero poi 2701-2830 FS ed infine
270.001-270.130 (sempre FS ma numerazione definitiva), si può dedurre che la
nostra 3541 RA sia stata riparata e poi messa in servizio e, dopo il 1905 è
probabile che abbia assunto la numerazione provvisoria di 2741, e definitiva
270.041 FS. Tre assi accoppiati, lunghezza di 15 metri per 43 tonnellate di
peso, potenza 440 CV, velocità massima 60 km/ora, del tipo cosiddetto
bourbonnais, un modello che trovò in Italia grande impiego per le sue doti di
adattabilità ai percorsi tortuosi e con modesti carichi assiali. Si trattava di
una modesta macchina, destinata prevalentemente al traino dei treni merci e
omnibus nelle linee pianeggianti, che conobbe il suo momento di gloria durante
la Prima Guerra Mondiale e fu mantenuta in attività fino alla seconda metà degli
anni '20.
COMMENTO PERSONALE
Francesco Guccini ha iniziato a ronzare nella mia testolina prima di tutte le altre figure di questa sezione; ho iniziato ad ascoltarlo in modo indiretto, nel senso che ascoltavo con immenso piacere le sue canzoni cantate dai Nomadi, solo dopo ho intrapreso il viaggio allo stato puro grazie al supporto familiare e da allora ho apprezzato il suo parlare che ti fa ragionare sul significato delle diverse strofe fino a scoprire di volta in volta tutto il filo del discorso primordiale. Mi sono legato ancor di più a questo cantautore in particolare perchè ha fatto da colonna sonora in macchina per più di un mese in un periodo che suonava tutt'altra musica. Al di la di questo Guccini è pur sempre una figura che vive e continua a produrre grandissimi successi, l'ultimo album "Ritratti" l'ho acquistato alla sua uscita e successivamente ho avuto la fortuna di assistere ad una serata del suo tour 2004 il 21 Aprile al Palasport di Catanzaro; quindi è pur sempre un qualcosa di contemporaneo che ho toccato con mano e che un domani potrò dire come era a differenza degli altri di cui conosco solo il post purtroppo raccontato non dai direttiinteressati. Di sicuro continuerò a sostenere questa grande figura al di la delle opinioni politiche che non voglio approfondire e son contento del fatto che acora oggi riesca ad unire assieme sotto lo stesso palco Nonni, Figli e nipoti...